Sulle prime colline reggiane, tra siepi di rosa canina e prugnoli, può capitare di scorgere un piccolo uccello dal piumaggio elegante: dorso castano, petto chiaro e una caratteristica mascherina nera che gli attraversa gli occhi. È l’averla piccola, un passeriforme che unisce l’aspetto di un innocuo uccellino alla determinazione di un rapace.
Un abile cacciatore
L’averla piccola si nutre di grossi insetti, lucertole e talvolta piccoli roditori o passeriformi. Ciò che la rende famosa è l’abitudine di infilzare le prede su spine o fili spinati: un comportamento che le permette di conservare il cibo per i giorni di scarsa caccia e che le è valso il soprannome di “uccello macellaio”. Sulle colline reggiane, non è raro trovare questi “dispensieri” naturali tra i rami spinosi delle siepi.
Una specie migratrice
Dopo aver trascorso la primavera e l’estate in Europa per riprodursi, le averle piccole migrano in autunno verso l’Africa sub-sahariana, compiendo viaggi di migliaia di chilometri. Arrivano in Emilia in maggio, spesso tornando negli stessi territori anno dopo anno.
Comportamento e habitat
Predilige ambienti aperti e soleggiati, con cespugli sparsi e siepi naturali, dove può posarsi in attesa delle prede. Ama avere un “punto vedetta” — un ramo alto o un filo della luce — da cui scrutare il terreno.
Curiosità e folclore
Nella cultura contadina, l’averla era considerata un messaggero di cambiamento del tempo: il suo canto e la sua vivacità erano osservati con attenzione, quasi come un “barometro vivente”. In alcune zone d’Europa, la mascherina nera sugli occhi le ha dato un’aura misteriosa, facendola entrare nelle leggende come “uccello ladro” o “guardiano dei campi”, credendo che la sua presenza scoraggiasse piccoli predatori o uccelli nocivi per i raccolti.
Oggi l’averla piccola è purtroppo in declino in molte aree italiane a causa della scomparsa degli habitat tradizionali, delle siepi e dell’uso di pesticidi, ma le colline reggiane, con i loro mosaici agricoli e naturali, restano ancora un rifugio prezioso per questa specie.
Matteo Benevelli

