Martin pescatore

Il martin pescatore (Alcedo atthis) è l’unico delle 118 specie di Alcedinidi a vivere in Europa, pur avendo un areale effettivo che, a seconda del periodo dell’anno, include anche parti del Nord Africa, del Medio Oriente e della Russia, l’India, la Manciuria, Corea e Giappone, parte della Cina e tutto il Sud-est asiatico. Può migrare anche per 3000 km alla ricerca di un sito di svernamento.

Distribuzione ed habitat

In Italia è stanziale abbastanza diffuso, svernante in Sicilia e migratore di corto-medio raggio su tutto il territorio. Solitario, schivo ed irrequieto, è possibile osservarlo su posatoi ombrosi lungo le rive di stagni, ruscelli, canali e fiumi a lento corso. Frequenta a volte anche stagni artificiali in giardini rurali, cave allagate, laghi e, in inverno, anche estuari e linee costiere.
Ricerca specificatamente acque tranquille e limpide nelle vicinanze di argini sabbiosi.

Aspetto

16 cm di lunghezza, di cui 4 cm di becco, 25 cm di apertura alare, 35-45 g di peso.

Piccolo, paffuto, coda e zampe corte, testa grande e becco lungo. Vertice ed ali blu-verde metallico, dorso e coda azzurri, parti inferiori e guance arancioni, gola e macchia sul collo bianca, zampe arancioni, becco nero nel maschio, mandibola arancione nella femmina.
Giovani con livrea più opaca, verdastra sopra e marrone pallido sotto, zampe nere, becco nero con punta bianca.
Richiamo in volo, un breve, improvviso sibilo “zii”. Volo frullato, rapido, diretto, basso sull’acqua.

Alimentazione

Caccia all’agguato, passando la maggior parte del tempo scrutando l’acqua da un posatoio, che può indifferentemente trovarsi a pelo d’acqua o a 3 m d’altezza. Una volta individuata una preda, muove la testa avanti e indietro per calcolare la distanza, quindi spicca il volo, chiude le ali e si tuffa, prende la preda nel becco, inarca a schiena, piega la coda e sbatte le ali sott’acqua, riemerge e torna a posarsi. Il tutto dura solitamente non più di un paio di secondi.
A volte, prima del tuffo verticale, un esemplare può anche prodursi in un breve volo stazionario tipo “spirito santo” mentre, durante le picchiate, può raggiungere i 40 km/h.
Dopo due-tre immersioni è probabile che un esemplare passi una mezz’ora a curarsi le penne e a spalmarle nuovamente con l’olio secreto dalla ghiandola uropigiale, alla base della coda, per mantenerle impermeabili ed idrorepellenti, pena l’annegamento.

La vista del martin pescatore è estremamente sviluppata: gli occhi possiedono due fovee, connesse da una fittissima rete neuronale e sono in grado, grazie ai coni dotati di vacuoli ricchi di carotenoidi, di polarizzare la luce, contrastando così gli effetti della riflessione.
Al momento dell’immersione gli occhi vengono protetti da una membrana nittitante e il crisallino punta verso la fovea ausiliaria, consentendo all’uccello di avere visione binoculare subacquea che, sebbene meno acuta di quella monoculare che ha in aria, consente un migliore e più rapido calcolo delle distanze.

Ha dieta quasi esclusivamente piscivora, composta prevalentemene di sanguinerole, spinarelli, trote e rutili e, più raramente, preda anche tritoni, gamberi, girini, avannotti, ditischi e larve di libellula.
Benchè capace di catturare e consumare prede anche grandi la metà di lui, la maggior parte spazia fra i 2 e i 4 cm, mentre sbatte vigorosamente contro il posatoio quelle più grandi prima di ingoiarle, sempre partendo dalla testa. 

Si è calcolato che, per provvedere al fabbisogno energetico giornaliero, un martin pescatore debba catturare 12-15 pesci, pari a metà del suo peso corporeo.

Riproduzione

Normalmente solitario e molto territoriale, forma la coppia in autunno, ma i due partner restano separati fino alla primavera ed ogni anno cercano un nuovo compagno. Nidifica tra fine marzo e fine luglio, spesso allevando due covate, una ad aprile ed una a luglio. In anni particolarmente miti può essercene una terza a fine settembre.

Durane il corteggiamento entrambi i sessi si rincorrono lanciando richiami, poi la femmina si posa ed il maschio continua a prodursi in evoluzioni sempre più ardite ed evitando la collisione con la femmina sempre più tardi. Alla fine il maschio porge un pesce alla femmina, porgendolo con la testa rivolta verso di lei.

Dopo l’accoppiamento i parter scelgono un punto dell’argine in cui nidificare. Il maschio si scaglia contro la sponda per creare con il becco l’invito per il foro d’entrata, quindi ambo i partner scavano con le zampe un tunnell in leggera pendenza, lungo 60-90 cm, che porta ad una camera di circa 15 cm di diametro, rialzata rispetto l’entrata così da evitare venga sommersa in caso di crescite improvvise del livello dell’acqua, in caso di piene o inondazioni.
La camera è vuota, ma con il passare dei giorni si fodera di guano, avanzi di pesce, boli rigurgitati e lische. Non stupirà quindi sapere che solitamente la coppia costruisce un nuovo nido per ogni covata.

La femmina depone 6-7 uova bianche e molto lucide. Entrambi i sessi si alternano alla cova durante il giorno, mentre di notte cova solo la femmina, posizionandosi con il becco puntato verso l’uscita del nido e cadendo in dormiveglia.
Dopo circa 20 giorni avviene la schiusa, ma spesso una o due uova non si aprono, essendo difficile per i genitori coprirle tutte durante l’incubazione.

I pulcini sono inetti e nudi, con la punta del becco bianca per facilitare ai genitori la loro ricerca al buio. Si pensa che lo specchio guanciale degli adulti abbia la stessa funzione per i pulcini.
La nidiata è nutrita, un esemplare alla volta a rotazione, da entrambi i genitori. Dopo circa 25 giorni i pulli possono volare ed abbandonare il nido, iniziando così i primi tentativi di caccia, ma venendono anche nutriti dai genitori ancora per qualche giorno, per poi essere definitivamente scacciati dal territorio.

Non avendo ancora perfezionato la pesca, circa metà dei pulli muore nelle prime due settimane di fame o per annegamento, mentre inverni particolarmente rigidi possono non far sopravvivere anche l’80% di un’intera popolazione e, in media, solo 1/4 dei giovani supera il primo inverno.

La speranza di vita è solitamente di 2 anni, che possono diventare 5-7 in condizioni ottimali.

Predatori

Uova e nidiacei possono essere predati da serpenti, ratti, visoni, ermelini, volpi e gatti. Giovani e adulti possono essere raramente predati da sparvieri, astori e allocchi e, occasionalmente, lucci, durante immersioni mal riuscite.

Rapporti con l’uomo

Sia il secondo nome comune di “alcione”, sia il genere Alcedo provengono dal mito greco di Alcione e Ceice, regnanti di Eraclea Trachinia, talmente innamorati da chiamarsi affettuosamente Zeus ed Era, peccando così di hybris. Perciò, mentre Cecie era per mare, Zeus scatenò una tempesta e lo uccise con un fulmine. Morfeo, dio del sonno, prese quindi le sembianze spettrali del marito e comunicò ad Alcione il suo destino e questa, disperata, si gettò in mare per ricongiungersi nella morte con lo sposo. Zeus, appagato dalla punizione ed impietosito, trasformò i due amanti in martin pescatori.
La specie atthis deriva, invece, da Attide, bellissima favorita di Saffo.

Il nome comune con cui è conosciuto in Italia, Francia e Spagna deriverebbe, secondo la vulgata, da Martino di Tour che, dopo aver osservato il volatile in caccia, paragonò il suo tuffarsi sui pesci ad un demone che si avventa sulle anime dei dannati.

In Portogollo è invece chiamato, più prosaicamente, il guarda fiume.

Nelle lingue germaniche è spesso detto uccello di ghiaccio.Si pensa che possa essere dovuto al suo migrare verso sud dalle regioni settentrionali, oppure che vada intenso come uccello lucente o d’acciaio per via del colore metallico del dorso, da eisen, tedesco arcaico per lucemte, appunto.
Il nome di re pescatore, con cui è conosciuto, ad esempio, in inglese, svedese e finlndese, deriva probabilmente dal suo aspetto regale e dalle sue indubbie qualità.

Parlando dei colori, secondo una leggenda francese seicentesca, in origine l’alcione era grigio e smorto. Una volta uscito dall’arca di Noè in cerca di terra ferma, volò così in alto e vicino al sole da scottarsi il petto, colorandosi così di blu come il cielo ed arancione come il sole.

Non mancano naturalmente varie superstizioni che vedono, ad esempio, un martin pescatore essiccato come un antitarme, come un talismano contro le tempeste e i fulmini, ricollegandosi al mito di Alcione e Ceice, o un ciondolo fatto con il suo cuore mummififato come una protezione contro i veleni.

O ancora, nel XVIII secolo, esemplari impagliati e sospesi per il becco erano usati come segnavento o barometri: se la pancia si rivolgeva a nord, sarebbe arrivato il caldo o la neve, se la pancia ruotava verso sud, invece, era segnale di pioggia imminenete.

Durante l’età vittoriana fu soggetto di poesie, in particolare “The Kingfisher” di William Henry Davies, ma anche di caccia per sfruttare il piumaggio nella creazione di mosca da pesca, decorazioni per cappelli e gioielli o per creare esemplari tassidermizzati da esporre nei salotti sotto campane di vetro.

Negli anni ’90, l’ingegnere e bidwatcher Eiji Nakatsu studiò l’aerodinamicità del becco e del capo del martin pescatore durante la progettazione della testata dello Shinkansen serie 500.

Il Martin pescatore ha uno stato di conservazione sfavorevole in tutta Europa, con fluttuazioni nell’Europa centrale e settentrionale dovute ad inverni occasionalmente troppo rigidi, mentre l’inquinamento delle acque e la canalizzazione dei corsi d’acqua ha provocato il largo declino della specie, nella seconda metà del Novecento, sull’intero areale.
Tra gli interventi prioritari vi è l’imperativa necessità di tutelare corsi d’acqua e zone umide, con particolare attenzione alla salvaguardia di scarpate sabbiose e terrose che, come visto, sono zona di nidificazione, ma anche le prime ad essere impattate dalla regimazione e la causa principale per la fatica di ripresa della specie.
A questa minaccia si accompagna un’elevata sensibilità a fenomeni di inquinamento delle acque, che hanno come prima conseguenza la diminuzione drastica del numero di prede. È quindi importante monitorare il martin pescatore non solo per l’interesse della sua specie, ma anche come bioindicatore della salute delle acque.

Federico Buldrini

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