L’allocco (Strix aluco) è uno gufo di foresta, nidicante ben diffuso e comune in Italia.
Distribuzione ed habitat
Vive in boschi, zone agricole alberate, fitti parchi cittadini, cimiteri e giardini, prevalentemente sotto i 1000 m, ma sulle Alpi sono state osservate coppie nidificare fino a 1600 m.
Predilige le foreste di caducifoglie e in particolare le vecchie querce. Nelle zone antropizzate si nasconde in vecchie case, campanili, comignoli e fienili.
Aspetto
35-40 cm di lunghezza, 80-95 cm di apertura alare, 400-800 g di peso.
Femmine leggermente più grandi, ma decisamente più pesanti.
Gufo compatto, di medie dimensioni, con capo grosso e tondo, ampio disco facciale omogeneo, con strisia nera al centro, “baffi” e “sopraccigli” bianchi, grandi occhi neri e “gentili”, ali ampie e arrotondate.
In Europa esistono due morfismi, uno bruno ed uno grigio. Sia gli adulti sia i giovani sono interamente striati, finemente vermicolati e barrati.
Volo dritto, silenzioso e a battiti regolari.
Molto caratteristico ed assolutamente distintivo il canto flautato e tremolante del maschio.
Alimentazione
Preda topi, ratti, arvicole, toporagni, scoiattoli, passeri, verdoni, cinciallegre, cinciarelle, ghiandaie, piccioni, folaghe, pulli di altri gufi, rane, solo occasionalmente rospi e tritoni, ma non disdegna anche lombrichi, lumache, coleotteri, ortotteri, blatte e, saltuariamente, perfino pesci, solitamente giovani o malati.
Ad esclusione del periodo riproduttivo, durante il quale caccia anche di giorno per sfamare i pulli, l’allocco è un predatore prettamnte notturno.
Come il barbagianni ha orecchie molto grandi, asimmetriche, con la destra più bassa e larga della sinistra. I “baffi” bianchi ai lati del becco riflettono ogni barlume di luce verso gli occhi, permettendogli di cacciare anche nella quasi totale oscurità.
Molto abitudinario sui terreni di caccia, si crea una mappa mentale dettagliata dei sentieri di passaggio dei roditori, dei posatoi preferenziali degli uccelli canori e delle cavità in cui gli scoiattoli accumulano scorte di granaglie.
Caccia esclusivamente d’agguato, rimanendo in attesa su un posatoio tra le fronde. Una volta individuata la preda plana, si tuffa in picchiata e risale sul posatoio subito dopo la cattura.
Riproduzione
Nidifica tra febbraio e maggio. Monogamo per la vita, spesso le coppie si appollaiate insieme.
Il nido, riutilizzato negli anni, viene ricavato in buchi negli alberi, da nidi abbandonati di picchi neri, corvi, gazze, nibbi bruni, poiane, astori, ghiandaie e scoiattoli o ancora in crepe di edifici e, nelle zone antropizzate, se manca un sito adatto, accetta spesso anche le cassette nido.
La femmina depone da 1 a 6 uova bianche ed inizia a covare dopo la deposizione del primo.
È stato osservato che il numero di uova varia a seconda della disponibilità di prede e che, in casi di estrema penuria, può verificarsi il cannibalismo dei pulli più piccoli ad opera dei più grandi.
Le uova si schiudono dopo circa un mese.
Durante la cova il maschio caccia per entrambi, venendo poi affiancato dalla femmina dopo un paio di settimane dalla schiusa, una volta che i pulli riescono a mangiare da soli.
Durante tutto questo periodo gli adulti sono estremamente teritoriali e protettivi del sito di nidificazione, non lesinando attacchi preventivi ad eventuali intrusi. Ne riparlerò più avanti.
Dopo un mese i pulli si involano e dopo altri due mesi cacciano da soli e si allontanano in cerca di un proprio territorio.
Gli esemplari che sopravvivono al primo inverno possono vivere circa 10 anni.
Predatori
Non ostante le dimensioni i pulli e, raramente, gli adulti sono predati da gufi reali, astori, poiane, volpi e martore.
Ai predatori naturali vanno aggiunte cause di morte antropiche quali pesticidi, cavi elettrici e collisioni con auto.
Rapporti con l’uomo
Strix aluco, letteralmente lo strige che urla. Come ogni gufo che si rispetti anche l’allocco è associatto alla iattura e nel suo caso si può trovare menzione del suo urlo lamentoso come annunciatore di guerra e sventura già nel III secolo a.C., ad opera del grammatico greco Boeus.
L’accezione più negativa e durevole nel tempo è invece di origine latina ed è già presente in Plauto e Ovidio.
Qui gli strigi sono esseri, forse uccelli forse streghe mutaforme, che spruzzano latte guasto sulle labbra dei bambini, per poi rapirli, sbudellarli e berne il sangue.
Il poeta li descrive come uccelli notturno grigi, dal grande capo, con occhi sporgenti, becco adunco e artigli uncinati, tutti tratti ragionevolmente in linea con allocchi in habitus grigio.
Ancora, nella cosmogonia latina gufi, avvoltoi, arpie e strigi grondanti sangue sono, appollaiati su un albero di tasso, chiassosi abitanti degli Inferi.
Dal canto suo Plinio il Vecchio definiva scemenze le superstizioni sugli strigi, ma ricorda anche che il loro nome è comunemente usato come imprecazione o maledizione.
Fatto sta che l’associazione fra gufi e streghe, ma più ancora con la Morte, benché probabilmente molto più antica, era certamente già affermata attorno al I secolo e rimarrà indefessa per tutto il Medioevo ed una buona parte dell’Età Moderna.
La loro associazione con la iattura, invece, è sopravvissuta fino al ‘900.
Nel corso dei secoli le leggende sulle strigi si allontanarono progressivamente dagli uccelli succhiasangue, ma non dall’ematofagia, essendo alla base dei demoni vampiri che affollano la mitologia ed il folklore slavo dal XVI secolo e che sono giunti fino a noi, fra gli altri, nella Saga di Geralt di Rivia, del polacco Andrzej Sapkowski.
Chiudiamo con un più scientifico ed emblematico aneddoto sulla sovracitata territorialità.
La notte del 12 maggio 1937 Eric Hosking, fotografo naturalistico inglese, stava tornando a tarda notte presso un nascondiglio fotografico vicino a un nido, senza avvedersi di un adulto di guardia. Giudicatolo troppo vicino alla prole, l’allocco calava in picchiata su Hosking, protendendo i tarsi in avanti e perforandogli l’occhio sinistro. Hosking fu ricoverato, ma il taglio si infettò e, per evitare che la sepsi si diffondesse e lo portasse a totale cecità, si procedette alla rimozione chirurgica del bulbo oculare ferito.
Non appena fu dimesso Hosking tornò al capanno, riprese a fotografare e per i successivi 54 anni continuò la sua attività di fotografo e divulgatore.