La parola “bestiario” potrebbe evocarvi immagini di ombrosi scrittoi d’abbazia popolati da rubizzi frattacchioni chini su volumi miniati e decantanti le virtù e i peccati del mondo attraverso la natura: la lupa avida, il leone superbo, la lonza lussuriosa e tutto un colorito circo psichedelico a far compagnia alle tre fiere dantesche.
Se tuttavia ci sia del vero in questa descrizione e, nelle agiografie, draghi, serpi e “bestie” siano quasi esclusivamente metafore del paganesimo eradicato dal santo di turno, sarà ancora più interessante esplorare da vicino l’uso metaforico degli animali nella mitologia europea e mediterranea, per poi analizzare alcune delle creature che popolano il folklore emiliano.
Il nostro viaggio inizia in Egitto, attorno al 4000 a. C., durante il periodo amraziano. Qui troviamo la prima rappresentazione del serpente Apophis, simbolo del caos e dell’oscurità, in perenne lotta con Ra per la supermazia della notte sul giorno.
La sua iconografia è piuttosto coerente e probabilmente ispirata al pitone delle rocce (Python sebae).
Altri esempi di miti di battaglia contro il caos si possono vedere nell’uccisione del serpente marino Lotan per mano di Hadan nella mitologia cananea, in Typhon ucciso da Zeus nella mitologia greca, nel Līvyāṯān ucciso da Yahweh nella mitologia ebraica e in Jǫrmungandr ucciso da Þórr nella mitologia norena.
Parlando di serpenti guardiani, possiamo trovare interessanti parallelismi fra mitologia greca e biblica confrontando Ladon, a guardia delle mele d’oro delle Esperidi e la serpe dell’Eden, avvolta all’albero della conoscenza.
Il serpente Python, ucciso da Apollo presso Delfi è probabilmente all’origine del topos del serpente o drago annidato in una grotta vicino a una sorgente, divenuto poi comune durante il Medioevo con i miti di San Giorgio, di Fáfnir e Sigurðr e tutta la pletora di draghi guardiani di tesori divenuti imprescindibili prima nelle favole, poi nella letteratura fantasy, nel gioco di ruolo Dungeons & Dragons e suoi derivati ed infine nel power metal, con gruppi quali Rhapsody of Fire e Twilight Force particolarmente dracocentrici.
Idra è senz’altro il mostro policefalo sconfitto da Eracle e, probabilmente, anche il canovaccio per il Drago dell’Apocalisse. Tuttavia, dal 1758, grazie a Carl von Linné e al suo Systema Naturae, Hydra è anche un genere di cnidari, grandi circa 1 cm, vasiformi, tentacolati, dulcicoli e dalle capacità rigenerative simili alla loro ben più grande e mitica controparte.
Il basilisco ha subito drastici cambiamenti nel corso della storia. Descritto da Plinio il Vecchio come un serpente tanto piccolo quanto letale, grazie al veleno ed allo sguardo pietrificante degno delle Gorgoni, si è poi evoluto fino a diventare il “re dei serpenti” con tratti più o meno gallinacei, ma acquisendo anche ali e zampe da drago, ereditati dal nascere da un uovo di gallina covato da un serpente. Ai suoi poteri si è aggiunta l’immortalità, tranne se attaccato da un mustelide, e un fiato mortifero. Una volta divenuto una figura araldica ha probabilmente dato origine alla coccatrice, con testa di gallo.
In Emilia era detto bisoun da la cresta mentre in centro Italia esiste la leggenda del serpente Regolo, nel senso di reuccio, ancora legata alle sue carattrisitiche latine, ma arrichendosi del vivere in una grotta a guardia di un tesoro.
A livello scientifico il regolo (Regulus regulus) è invece un piccolo uccello tozzo e insettivoro che deve il proprio nome alla cresta di penne gialle sul capo.
Rimanendo fra i rettili, Basiliscus è un genere di lucertole crestate, arboricole, dell’America tropicale, famose soprattutto per poter correre sull’acqua per alcuni metri, su due zampe.
Ora, si è visto che uno dei tratti ricorrenti dei serpenti e dei draghi è il fiato velenoso, soprattutto se la creatura in questione abita in prossimità di paludi o specchi d’acqua più o meno stagnanti. È facile che questa sia in realtà una metafora per la malaria, e l’uccisione del drago fosse in realtà l’opera di bonifica.
Caso emblematico, la sconfitta del drago Tarantasio da parte di San Cristoforo, che in realtà pare fosse soprintendente alla bonifica dell’enorme acquitrino conosciuto come Lago Gerundo, nella zona di Lodi. Secondo un’altra leggenda fu invece Bonifacio Visconti, al ritorno dalle crociate, a fare la festa al mostro, per poi assumere il biscione che inghiotte un bambino come proprio stemma e divenuto oggi anche uno dei simboli di Milano e presente, fra le altre cose, sul logo dell’Alfa Romeo.
Similmente, il serpe emorroo, che si diceva causare la morte per sudorazione di sangue, probabilmente era un modo per spiegare la ematoidrosi, una condizione estremamente rara, caratterizzata dalla perdita di sangue dalle ghiandole sudoripare soprattutto di mani e faccia, a seguito di insufficienze circolatorie o di alti tassi di stress.
Da un punto di vista pratico è ragionevole pensare che le leggende di draghi e serpenti soprannaturali siano nate in parte da credenze religiose, in parte da osservazioni in natura e, non ultimo, dal ritrovamento di fossili, logiche spiegazioni per le bestie antidiluviane bibliche e per i miti popolari.
Parlando di fossili, abbiamo per tutta la penisola chiese che conservano costole di balena. Alcuni esempi in nord Italia sono la chiesa di San Giorgio di Almenno San Salvatore, la chiesa di San Cristoforo a Lodi, la chiesa di San Bassano a Pizzighettone e il duomo di Modena, mentre il santuario di Sombreno ha una costola di mammut, identificata dal naturalista Enrico Caffi nel XIX secolo.
Se alcune di queste ossa erano riportate da marinai ed esposte come reliquie o moniti verso il Maligno, la costola di cetaceo del duomo di Modena fu invece trovata durante gli scavi per le fondamenta e successivamente esposta con funzione apotropaica, così da evitare che la bestia, ora priva di un osso, potesse ricomporsi.
Altre chiese hanno invece interi coccodrilli del Nilo (Crocodylus niloticus) impagliati ed esposti come ex voto, tutti databili almeno al XVI secolo. Ad esempio, un adulto di 3 m è appeso nel Santuario della Madonna delle Lacrime a Ponte Nossa, un giovane è sospeso nel santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone. Nel convento della Santissima Trinità alla Selva a Santa Fiora, vicino a Grosseto, è conservata una mascella di coccodrillo che la leggenda vuole essere un drago che infestava la zona a fine ‘400 prima di essere ucciso dal conte Guido II di Santa Fiora. Molto più prosaicamente era con ogni probabilità un coccodrillo di proprietà del conte fuggito dalla peschiera.
Prima del ‘500 gli europei erano già ampiamente entrati in contatto, fra guerre e commerci, con serpenti costrittori (Pythonidae) coccodrilli (Crocodylia) e protei (Proteus anguinus), questi ultimi creduti proprio cuccioli di drago in epoca medioevale.
Con l’inizio delle esplorazioni geografiche, invece, mercanti, marinai ed esploratori cominciarono a riportare in patria racconti di bestie mai viste e che ai loro occhi avranno confermao i racconti e le leggende di draghi e serpenti marini. Provate ad immaginare l’effetto che devono aver fatto all’epoca iguane (Iguana iguana) varani coccodrillo (Varanus salvadorii) varani di Komodo (Varanus komodoensis) e re d’aringhe (Regalecus glesne).
Con le esplorazioni geografiche iniziarono ad essere redatti anche i primi trattati di storia naturale propriamente detti, al cui interno comparivano ancora figure mitologiche, ma analizzate in modo per quanto possibile scientifico. Figura di riferimento per i naturalisti italiani del periodo e primo ideatore di quella che sarebbe poi divenuta la nomenclatura binomia, era il bolognese Ulisse Aldrovandi che, come i suoi colleghi oltralpe, classificava i draghi fra i serpenti.
Aldrovandi curò anche per tutta la vita quello che lui chiamava “microcosmo”, una stanza in cui raccolse tutto lo scibile naturalistico di cui riuscì ad entrare in possesso.
Come lui, molti collezionisti facoltosi in tutta Europa allestivano le proprie stanze delle meraviglie (wunderkammer), ma non necessariamente con spirito scientifico. Così, com’è facile immaginare, iniziarono a proliferare anche animali e creature mitologiche vendute da truffatori con fiuto per i gonzi o coscientemente commissionate a tassidermisti.
Non mancarono quindi sirene create mutilando ed essiccando pesci chitarra (Rhinobatidae) o cucendo tronchi di scimmie a code di pesci, oppure draghi creati impagliando colubri (Colubroidea), foderandone parte del corpo per renderlo più tozzo, cucendo all’addome zampe di lepre (Lepus sp.) o altri mammiferi, opportunamente coperte di squame, incastrando teste di pipistrelli della frutta (Rousettus sp.), donnole (Mustela nivalis) o cani (Canis lupus familiaris) ed applicando ali ricavate da pinne di pesce civetta (Dactylopterus volitans).
Un caso particolarmente curioso è il drago di Aldrovandi, il cui ritatto è visibile al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, che fu trovato il 13 Maggio 1572, giorno di elezione papale, poco fuori Bologna. Non ci sono dubbi sia l’ennesima chimera creata da un tassidermista farcendo una biscia (Natrix sp.) ed attaccandovi delle zampe; tuttavia, secondo lo storico della scienza Marco Ruffini, è possibile che Aldrovandi abbia voluto usare questo manufatto come simbolo di buon auspicio per l’elezione a papa di Ugo Boncompagni, suo secondo cugino e pontefice col nome di Gregorio XIII, che per stemma aveva proprio un drago.
Ora vediamo finalmente qualche esponente del folklore emiliano.
L’anzlìn, nominato nella bassa ferrarese, è rappresentato come un serpente alato, notturno, ladro di messi. Al di là dell’immaginario draghesco, potrebbe essere nato dall’osservazione di una delle sopracitate chimere tassidermizzate ad arte.
Il bargniff, creatura soprattutto del folklore lombardo e piemontese, ma ancora citato a Suzzara, appena al di là del confine di regione, è solitamente descritto come un enorme rospo peloso abitante i canali e le paludi della Bassa. A seconda della versione, può essere sia un dispensatore di saggi consigli sia un malevolo propinatore di indovinelli e affogatore di passanti. Pare che originariamente “bargniff” fosse uno dei nomi dialettali con cui indicare il diavolo ed è probabile che, come molti altri esseri simili, fosse uno spauracchio per tenere i bambini lontani da argini e acque in cui avrebbero potuto annegare. I Ticinum, gruppo melodic black metal pavese, gli hanno dedicato una canzone in dialetto.
La biscia lattona, serpente che, a seconda delle versioni, si intrufola nottetempo nelle stalle o nelle case per suggere il latte dalle mammelle delle mucche o dai seni delle madri è senza ombra di dubbio il modo degli antenati per spiegare l’insufficienza di lattazione o il deperimento abnorme di neonati.
Il termine bosma identifica propriamente il pastone di crusca per il truogolo e, in senso più ampio, una brodaglia nauseabonda o la massa di concime. Come spauracchio per tenere i bambini lontani da pozzi e letamai, è identificato con un maiale deforme e bitorzoluto, diciamo qualcosa di simile ai cinghiali posseduti del film Princess Mononoke.
Il nome foionco pare derivare da furionicus, latino tardo per furetto o puzzola, ma nonostante questo, si specula grazie ad etilici avvistamenti nella nebbia padana, la bestia sarebbe un uccello rapace a tre zampe, con una cresta spennacchiata, ladro di galline, bevitore di lambrusco, pigro e indolente al punto da riprodursi solo in concomitanza dei terremoti. Presente solo nel folclore dell’Appennino Tosco-Emiliano. Il magalasso, immortalalto da un brano dei Modena City Ramblers, che lo descrivono come un biacco melanico (Hierophis viridiflavus ssp. carbonarius), sarebbe invece, secondo la tradizione, un serpente verde, tozzo, con volto umano e cresta rossa, un tempo abitante il fossato del Torrione di Spilamberto, ma poi spostatosi fra i canneti del Panaro. Ammaliatore di giovani e succhiatore del loro sangue, è con ogni probabilità una metafora delle insidie della vita.
Federico Buldrini
Coccodrillo (Crocodilus niloticus) imbalsamato appeso al soffitto al centro della navata del Santuario della Beata Vergine delle Grazie (Curtatone).

Coccodrillo (Crocodilus niloticus) appeso al soffitto della navata, nella parte destra, di fronte all’altare della Vergine nel Santuario della Madonna delle Lacrime (Ponte Nossa).
