Benvenuti ad uno stato di sogno
Dove ogni cosa è tanto reale quanto la lasci essere
Sarò il vostro ospite questa sera
Quindi sedete, rilassatevi e vi garantisco (Seven Spires – The Cabaret of Dreams)
Un affascinante viaggio fra i miti e le leggende che il cervello umano è stato in grado di dedicare ai corvidi. E quale periodo migliore della fine di Ottobre? Andiamo a incominciare.
È ragionevole pensare che oggi i corvi, nella cultura pop, vengano principalmente associati ad una delle case della scuola di Hogwarts, nella saga di Harry Potter, ad Eric Draven, rocker risorto dall’oltretomba in cerca di vendetta contro gli assassini suoi e della sua fidanzata, all’anziano veggente de “Il Trono di Spade“o al disneiano corvo Gennarino, famiglio della strega Amelia.
Si potrebbe anche pensare all’omonima poesia di Edgar Allan Poe, ai rovelli masochistici ed autodistruttivi del narratore, incapace di dimenticare la sua Lenore ed il suo dialogo allucinato con il corvo del titolo.
Ma questa è già storia moderna, partiamo dall’inizio e non fermiamoci al banale “uccellaccio del malaugurio”.
Nell’Antico Testamento i corvi possono essere simbolo di egoismo, non essendo tornati sull’arca dopo aver toccato terra (Genesi 8,11) e punizione divina, abitando le rovine (Isaia 34,11) e divorando gli occhi dei morti (Proverbi 30,17), ma al contempo simbolo della Provvidenza, essendo nutriti da Dio, nonostante tutto (Salmi 147,9) e financo suoi messaggeri, portatori di viveri al profeta Elia (1Re 17,4-6).
Nel Vangelo di Luca (12,24), di nuovo, Gesù li usa come esempio della benevolenza divina, usando le argomentazioni appena viste.
Nella mitologia greca Omero fa loro rivestire il loro naturale ruolo di necrofagi: dopo aver ferito mortalmente Ettore, Achille lo schernisce e gli ricorda che presto cani e corvi pasteggeranno con il suo cadavere (Iliade XXII, 427-428).
D’altro canto, nella letteratura latina, Ovidio (Metamorfosi II, 569-588) racconta di come Apollo avesse posto un corvo bianco a guardia della propria amante Coronea. Questa si lasciò però sedurre da Ischi e ne rimase incinta. Il corvo avvertì Apollo che, inferocito, lo fulminò, dando così alle penne il loro colore nero, prima di rivolgere la sua ira verso l’amante infedele.
Sempre Ovidio definisce i gracchi portatori di pioggia (Amores 2, 6, 34).
Nelle favole di Esopo, Fedro e La Fountaine, i corvi sono animali arroganti, vanesi e fondamentalmente stupidi, facili prede degli adulatori, come raccontato ad esempio ne “Il corvo e la volpe” e ne “La cornacchia vanitosa”. Nella prima la volpe, adulando la beltà del piumaggio del corvo ed istigandolo a cantare riesce a rubargli il formaggio che portava nel becco, nella seconda una cornacchia (in alcune versioni una taccola) spaccia per proprie delle penne di pavone, salvo essere prontamente scoperta e derisa.
Nella mitologia irlandese le sorelle Mórrígan e Badb sono dee della guerra, del fato e della morte. Spesso prendono le sembianze di corvi o cornacchie grigie e, con il loro gracchiare, preanninciano morti o disgrazie imminenti, in modo simile alla banshee. Ma è possibile anche vederle intervenire durante le battaglie per alterarne le sorti o per reclamare le vite di guerrieri ed eroi, come nel caso di Cú Chulainn che, sventrato dalla lancia di Lugaid, si lega con la cintura ad un menhir per continuare a combattere e morire in piedi. Solo quando Mórrígan, in forma di corvo, gli si posa sulla spalla l’eroe muore ed abbassa la spada, tagliando la mano di Lugaid.
Rimanendo sulle isole britanniche, il gracchio corallino è l’uccello simbolo della Cornovaglia e, secondo una leggenda locale, re Artù, dopo essere stato ferito da Mordred nella battaglia di Camlann, non sarebbe stato trasportato ad Avalon da Morgana, mentre Bedivere restituiva Excalibur alla Dama del Lago, ma sarebbe stato trasformato in un gracchio, il becco e le zampe rosse ancora bagnati di sangue.
William Shakespeare utilizza i corvi come simbolo di vendetta nell’Amleto, mentre nel Macbeth il loro gracchiare è presagio dell’imminente morte di re Duncan, come osservato al suo arrivo al castello da Lady Macbeth.
Nella mitologia germanica il corvo è associato ad Óðinn. Rapresentazioni iconografiche del dio guercio assieme a corvi sono già presenti su elmi e scudi del VI secolo, in epoca Vendel e sfocianti poi nella coppia di corvi imperiali, Huginn e Muninn, Pensiero e Memoria, della mitologia norrena. Qui i due corvi sono gli occhi e le orecchie del padre degli dei: ogni giorno lasciano Ásgarðr, il mondo degli dei, volano oltre Bifrǫst, il ponte dell’arcobaleno e planano su Miðgarðr, il mondo degli uomini e dei troll, per poi tornare a posarsi sulle spalle del dio assiso nella Valhǫll, messaggeri di notizie ed avvenimenti.
In quanto attributo di Óðinn, dio della guerra, non deve stupire che diversi comandanti norreni, fra il IX e l’XI secolo, abbiano utilizzato uno stendardo con l’effigie di un corvo, detto “hrafnsmerki”. Fra i suoi portatori si annoverano Ragnar Loðbrók, Harald Harðráði e Canuto il Grande.
Dal XVIII al XIX secolo i corvi erano invece più prosaicamente associati con le anime dei dannati, in Germania e con quelle di morti assassinati, in Svezia.
Le gazze, d’altra parte, sono attributi di Skaði, gigantessa e dea della caccia con l’arco, dello sciare e, in buona sostanza, personificazione dell’inverno. Dal XVIII al XIX secolo erano invece associate con l’huldra una creatura soprannaturale dalle avvenenti sembianze femminili, a volte malevola, a volte benevola e dotata, a seconda del racconto e della zona geografica, di coda bovina, coda volpina, orecchie di lince o schiena cava e marcescente.
È sempre di questo periodo il diffondersi di tutta la ridda di associazioni negative più conosciute. In Francia, ad esempio, si diceva che le gazze fossero gli spiriti di suore malvage, in Italia e in Inghilterra i corvi tutti erano portatori di sventura, mentre le gazze erano specificatamente associate alla stregoneria in Scozia e alle anime di comari particolarmente pettegole in Irlanda.
Per concludere con il mondo anglofono, sembrerebbe che, per la propria poesia, Poe si fosse ispirato al corvo Grip del romanzo “Barnaby Rudge” di Charles Dickens che, a detta del poeta di Boston, avrebbe sottosfruttato il potenziale drammatico del pennuto.
Quel che è certo è che l’inglese, fra il 1839 e il 1841, tenne una femmina di corvo imperiale come animale domestico, la chiamò Grip, le insegnò a ripetere parole e frasi e la usò come modello per l’animale del romanzo.
Nota è anche la propensione di Grip per i feroci dispetti e gli attacchi non provocati ai servitori, ai figli e al cane dei Dickens. Morì dopo aver ingerito quasi 1 litro di vernice al piombo che era stata usata per ritinteggiare la stalla della magione. Lo scrittore vi era molto affezionato e nutrì sempre il sospetto che fosse stata uccisa.
Dopo la morte la fece tassidermizzare e la tenne sul proprio scrittoio, provvedendo ad adottare negli anni almeno altri due corvi, sempre ribattezzati Grip e sempre considerati impudenti ed insopportabili da tutti gli altri membri della famiglia.
Spostiamoci ora in Siberia, oltre il lago Bajkal, verso l’oceano e in particolare nelle penisole di Čukotka e Kamčatka. Personaggio dei racconti dei Ciukci e figura centrale nella mitologia di Itelmeni e Coriachi è Kutkh, un dio corvo dal comportamento ambiguo e le cui capacità ed attributi cambiano spesso a causa della trasmissione essenzialmente orale delle sue avventure.
Creatore, dio della fertilità, ma anche potente sciamano e scherziere spietato. A volte creato da un’entità superiore, a volte creatore di sé stesso da una vecchia pelliccia, scultore delle terre emerse con il proprio guano e fonte di fiumi e laghi con la propria urina. Padre di vari figli che, copulando con altri spiriti animali generarono i popoli della Terra. A volte nasconde il sole o la luna nel becco o aiuta a liberarli quando è un altro spirito maligno ad averli trafugati.
Spesso in litigio, ad alterne fortune, con il Lupo, la Volpe, l’Orso, il Ghiottone, il Topo, il Cane, il Gufo, la Foca ed il Tricheco.
A seconda del mito, inoltre, Kutkh diede agli uomini la luce, il fuoco, l’acqua ed il linguaggio, o insegnò loro come intrecciare le reti e come fare sesso.
Diametralmente opposta è la percezione nel resto dell’Asia orientale, dove, in Cina, Corea e Giappone esiste un corvo a tre zampe, associato al sole, al potere ed al destino.
In Cina è chiamamto sān zú wū e la sua più antica rappresentazione è datata al 5000 a.C., su ceramiche neolitiche della cultura di Yangshao. Uccello divino, assocciato al sole, spesso rappresentato dorato ed attributo del dio della creazione Fu Xi, la sua effigie era uno dei dodici ornamenti utilizzati per decorare gli abiti dei sovrani e i paramenti di stato.
Molto simile il valore attribuito in Corea al Samjok-o, anche qui rappresentato come corvo a tre zampe, attributo solare ed imperiale.
Dal 1994 è utilizzato anche come stemma degli Jeonbuk Motors, squadra di calcio di Jeonju.
In Giappone il corvo Yatagarasu è invece uno spirito guida della mitologia Shintoista, messaggero del dio creatore Takamimusubi e della dea del sole Amaterasu.
Secondo il mito fu mandato sulla terra per guidare Jimmu, discendente di Amaterasu e futuro primo imperatore del Giappone, quando la sua armata era circondata dai nemici e dispersa fra i monti.
Durante il periodo Sengoku (1467-1603) fu utilizzato come stemma dalla famiglia Suzuki.
Dal 1988 è parte dello stemma sia della Federazione calcistica del Giappone, sia della nazionale mentre, il 3 gennaio 1997, l’astronomo amatoriale Takao Kobayashi gli intitolò un asteroide del diametro di 5,6 km da lui appena scoperto.
“Yatagarasu” è anche il nome di un serie di romanzi di Chisato Abe incentrata su di un clan di corvi mutaforme. Lanciata nel 2012 è ora in corso di adattamento manga ed anime.
Similmente anche le gazze godono di buona reputazione, essendo portatori e simbolo di fortuna e felicità in Cina e Corea.
Simile a quello ricoperto in Siberia è il ruolo del corvo nella motologia degli aborigeni australiani. Anche qui il corvo è al contempo un essere ancestrale creatore ed un trickster, mantenendo anche i caratteri di vanità già visti in altre culture.
Secondo una leggenda dell’Australia occidentale, ad esempio, Corvo e Gazza, originariamente bianchi come neve, sono boriosi fratelli perennemente in lite su chi sia il più bello. A furia di lottare cadono dal ramo e precipitano, a seconda delle versioni, nel fuoco o nel fango, acquisendo così il piumaggio attuale.
Nella zona del fiume Murray si racconta che Corvo, una volta finiti i suoi compiti sulla terra, sia volato nel firmamento trasformandosi in Canopo, la seconda stella più luminosa.
I Wurundjeri, una volta residenti nella zona in cui ora sorge Melbourne, tramandano di come Corvo abbia dato il fuoco all’umanità dopo averlo rubato con un tranello alle sette Karatgurk.
Queste portavano una brace sul bastone da scavo, ma senza mai condividere il cibo cotto. Corvo nascose dei serpenti in un formicaio e le attirò lì. Mentre le sorelle erano intente a bastonare quei rettili non previsti, Corvo rubò i tizzoni, ma una volta appollaiato al sicuro fu cinto d’assedio dagli animali e dagli uomini che volevano cibo cotto a loro volta. Corvo lanciò quindi alcune delle braci alla folla, scatenando però un incendio che gli annerì le penne. Dopo questi eventi le Karatgurk si autoesiliarono nel cielo e divennero le Pleiadi.
Troviamo un corvo creatore e scherziere anche nella mitologia dei nativi americani della costa pacifica.
Nella cosmogonia dei Cahto della California settentrionale, Corvo crea il mondo, ma buio ed arido, decidendo quindi di andare alla casa della luce. Qui vede la figlia dello sciamano, si trasforma in un granello di polvere, viene bevuto e mette incinta la ragazza. L’arruffato figlio che ne deriva piange a perdifiato fino a farsi consegnare tre fagotti legati al soffitto, lasciandoli immancabilmente volare via e liberando in questo modo le stelle, la luna ed il sole.
Secondo i Tlingit dell’Alaska esistono invece due dei corvo, uno creatore ed uno scherziere.
Secondo una leggenda Inuit, il dio corvo è generato dall’oscurità stessa e decide di creare il mondo e popolarlo di piante, animali e uomini per non soffrire più la solitudine.
Per gli Haida Gwaii della British Columbia, Corvo libera gli uomini da una vongola gigante e le donne da un chitone per poi farsi da parte ed osservarli interagire. Anche in questa mitologia, sparge le acque, appende sole, luna e stelle nella volta celeste e, di nuovo, mentre dona il fuoco scatena un incendio che gli annerisce le penne. Tuttavia, rispetto ad altre varianti, è un dio più benevolo e protettivo e solo occasionalmente un trickster.
Per ora è tutto, miei commensali. Ci rivedremo presto nella seconda parte del viaggio, accompagnati da Euterpe e Bragi.
Federico Buldrini




