Il nome latino unisce due elementi affascinanti: Athene, in onore della dea greca Atena, e noctua, dal latino “notturna”, che indica le sue abitudini crepuscolari e notturne. Nell’antica Grecia, la civetta era sacra proprio ad Atena, dea della saggezza e della strategia. Questo piccolo rapace, con il suo sguardo penetrante e vigile, divenne simbolo di intelligenza e conoscenza, tanto che la sua effigie appariva sulle monete di Atene già nel V secolo a.C. — le famose “tetradracme con la civetta”.
La scelta di associarla alla sapienza potrebbe sembrare curiosa, dato che la civetta è un predatore notturno piuttosto silenzioso e non “socievole” come certi uccelli diurni. Tuttavia, nell’immaginario antico, la capacità di vedere nella notte era interpretata come una forma di conoscenza superiore: saper “illuminare” ciò che agli altri resta nascosto.
L’epiteto noctua aggiunge un tocco poetico e descrittivo: indica un animale che appartiene al regno delle ombre e del silenzio, ma non per questo meno vigile. In campagna, il suo canto acuto e ripetitivo — spesso un “kiu” o un “cu-cu-cu” — ha alimentato leggende popolari, a volte benevole, a volte inquietanti, dove la civetta è stata vista come messaggera di presagi, custode dei campi o, al contrario, annuncio di sventura.
Insomma, Athene noctua non è solo un nome scientifico: è un filo diretto tra scienza, mito e tradizione, capace di evocare secoli di simbolismo e di rispetto per questo piccolo ma straordinario rapace notturno.
In molte campagne reggiane e modenesi si credeva che il canto della civetta vicino a una casa preannunciasse una morte imminente. Per scacciare l’annuncio, si recitava una filastrocca:
- “Va’ via civetta, ché qui non c’è festa!” – oppure si battevano mestoli e pentole per farla allontanare.
Nelle colline tra Parma e Piacenza, i contadini la consideravano “l’amica dei granai”: nutrendosi di topi, contribuiva a proteggere il raccolto. Per questo, vicino ai fienili, si lasciavano vecchie travi sporgenti come posatoi. In questo caso il verso notturno era interpretato come un avvertimento contro i roditori.
Nella bassa reggiana circolava una storia secondo cui una civetta, parlando con voce umana, avrebbe offerto ricchezze in cambio dell’anima di un uomo. Era, probabilmente, una fiaba morale per mettere in guardia dalla cupidigia.
Nel Frignano modenese si diceva che le civette fossero gli “occhi” delle strìe (streghe), mandate in volo a controllare le case dove si riunivano le veglie serali. Un verso ripetuto più volte era segno che la casa stava per ricevere una “visita” notturna.
Matteo Benevelli
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