Le libellule sono davvero tra i “fossili viventi” del mondo animale: gli antenati di questi insetti volavano già nel Carbonifero, circa 300 milioni di anni fa, e potevano raggiungere aperture alari di oltre 70 cm. Il motivo della loro antichità è che la loro struttura di base, estremamente efficace per cacciare e volare, è rimasta pressoché invariata: evolutivamente parlando, non c’era molto da migliorare.
Movimento delle ali
A differenza di molti insetti che muovono le ali in coppia, le libellule hanno muscoli indipendenti per le due paia di ali. Questo permette di batterle in sincrono (per maggiore potenza) o alternato (per maggiore stabilità e manovrabilità), consentendo loro voli all’indietro, stazionari o improvvise accelerazioni — qualità perfette per predare zanzare e piccoli insetti in volo.
Il nome dell’ordine, Odonata, deriva dal greco odous (ὀδούς) = “dente”, in riferimento alle loro potenti mandibole dentellate, vere e proprie armi per afferrare e maciullare le prede.
Ciclo vitale
Il loro ciclo comprende tre fasi:
- Uovo – deposto in acqua o su piante acquatiche.
- Ninfa acquatica – fase che può durare da pochi mesi a diversi anni; la ninfa è già un predatore implacabile, dotato di una mascella estensibile a “trappola” per catturare larve e piccoli pesci.
- Adulto alato – vive in media poche settimane o mesi, dedicandosi alla riproduzione e alla caccia aerea.
Hanno una vista eccezionale: i loro occhi composti possono contenere fino a 30.000 ommatidi, coprendo quasi 360° di campo visivo.
In Giappone sono simbolo di coraggio e vittoria; in alcune culture europee, invece, erano associate a leggende oscure e soprannaturali.
Possono raggiungere velocità di 50 km/h e catturare fino al 95% delle prede tentate — un tasso di successo da predatore d’élite.
Sulle libellule in Emilia non esiste un corpus di leggende vasto come per altri animali, ma in area padana e appenninica sono comunque presenti alcune tradizioni popolari che le riguardano, spesso legate a superstizioni o osservazioni della vita contadina.
“Cavallini del diavolo”
Nelle campagne emiliane, soprattutto nel reggiano e nel modenese, fino a inizio ’900 le libellule erano chiamate anche cavalini dal diaul (cavallini del diavolo). Il nome nasceva dalla paura che questi insetti, con i loro colori metallici e il volo rapido, potessero portare sfortuna o “pungere” (in realtà non pungono). La leggenda voleva che se una libellula ti si posava sulla testa, il diavolo ti stesse “misurando” per farti il cappotto da morto.
Messaggere di temporali
Nelle zone di pianura tra Po e Secchia, i contadini osservavano il volo delle libellule come segno del tempo che cambia: stormi bassi e frenetici erano considerati presagio di piogge imminenti. Questo era collegato al fatto che, in condizioni di umidità alta e bassa pressione, gli insetti di cui le libellule si nutrono (moscerini, zanzare) restano più vicini al suolo, attirando anche i predatori.
Guardiane dell’acqua
Sugli Appennini reggiani e modenesi, presso alcune sorgenti e piccoli laghi, si raccontava che le libellule fossero “custodi” mandate dagli spiriti delle acque. La credenza era diffusa soprattutto attorno a fonti sacre o laghetti di montagna, dove i bambini venivano avvertiti di non disturbare l’acqua se le libellule erano numerose, pena il “malocchio” o una malattia improvvisa.
Anime leggere
Nelle campagne tra Reggio Emilia e Parma, qualcuno raccontava che le libellule fossero anime di bambini morti in fasce, reincarnate in creature leggere e brillanti per volare libere vicino all’acqua. Questa leggenda, dolce e malinconica, serviva anche a spiegare ai più piccoli la fragilità della vita.
Matteo Benevelli



